Duma Key

# 0044


Il terrore viene dal mare
Duma Key è un romanzo di Stephen King del 2008, in cui il "RE" torna a calcare i temi dell'orrore a lui più caro, quello ignoto e quello che - in qualche modo - si può anche sconfiggere.
La storia è quella di Edgar Freemantle che dopo un brutto incidente, raccoglie ciò che è rimasto della sua vita e parte per una periodo di riposo a Duma Key, isoletta del Golfo del Messico. In quell'isola, malgrado sia rimasto con il solo braccio sinistro, Edgar si riscopre abile pittore al punto che i suoi quadri sembrano avere qualcosa di magico, o di terribile? A Duma, Edgar fa la conoscenza con Wireman, avvocato in un altra vita e che - dopo una tragedia famigliare - cerca di riprendersi facendo da assistente ad una simpatica vecchietta Elizabeth Eastlake, e con Jack Cantori, giovane dinamico e pieno di risorse. Tuttavia qualcosa di strano sembra aleggiare sull'isola. Uno strano mormorio di conchiglie, delle frasi, apparentemente sensa senso, reciatate da Elizabeth nei momenti - sempre più rari - di lucidità che sembra darle il morbo da cui è colpita. Ma su tutte aleggia lo spettro nero di una nave che Edgar, inspiegabilmente, inizia a dipingere. E' l'inizio di un incubo che trascinerà Edgar in un vortice in cui le prove che dovrà affrontare saranno tante e orribili, un vortice dal quale forse non vi è scampo nè salvezza.
La storia del romanzo è affascinante anche se, purtroppo, il modo in cui il "Re" la racconta non è sempre agevole da seguire. C'è tanta carne al fuoco e molta di questa resta, irrimediabilmente, cruda. Vengono svelate molte cose, ma poche alla fine vanno al loro posto. Le digressioni sono tante, tutte utili? Alcune si, ma altre davvero superflue. I personaggi, tuttavia, sono ben descritti. Ognuno si stacca dal contesto e vive di una vita propria. Persino quelli "minori", Pam la moglie di Edgar su tutti, risultano essere ben definiti e tratteggiati.
Ma il romanzo è lungo. Forse anche troppo. E l'aria di sospeso terrore che traspare dalle pagine, se sulle prime piace, alla lunga stanca. Qualche pagina in meno avrebbe, certamente, agevolato i ritmi di una storia d'orrore che nei tempi immediati e per nulla dilatati avrebbe reso al meglio.
E' comunque doveroso riconoscere che i momenti di terrore sono così abilmente tratteggiati e descritti dal "Re" che vien facile perdonargli la lunghezza e le digressioni, di cui si è detto. In alcuni punti del romanzo, i toni lirici possono certamente essere definiti "Lovecraftiani", l'idea di un orrore sconosciuto, che viene da lontano, oscuro, innominabile, incerto, cattivo e eterno è così ben radicata, in quasi tutte le pagine (tante) del romanzo, che sarebbe un delitto non pensare - almeno stilisticamente parlando - al "solitario di Providence".
I dialoghi sono ben fatti, ed è nahce grazie a questi che i personaggi iniziano a vivere di vita propria. Le descrizioni sono minuziose ed efficaci. Le ambientazioni, giustamente cupe. Ma di tutto ciò, bisogna dare il merito oltre che al "Re" che ha scritto il romanzo, anche al traduttore italiano, Tullio Dobner, che ha saputo rendere al meglio le scene evocate da King, in lingua madre.
In definitiva un buon romanzo, non certo un capolavoro. Non pè aragonabile a "IT" che, pur nella sua lunghezza dipanava orrore o nostalgia, dramma e commedia, luci e ombre, divenendo un'opera letteraria di grande impatto, ma è pur sempre un romanzo che evoca orrore, che fa paura e che - slavo qualche parte che si trascina stanca - si lascia leggere piuttosto piacevolmente.
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Valutazione: 3 libri
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